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L’arte del trasformismo, quando i predatori diventano prede e viceversa

L’arte di ribaltare la verità, trasformare vittime in carnefici e convincere il pubblico che il lupo era solo un agnello.

L’arte del trasformismo, quando i predatori diventano prede e viceversa

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In politica e nei conflitti, chi controlla la narrazione controlla il passato, il presente e persino il futuro.

C’è un’arte che pochi padroneggiano con la maestria necessaria a trasformare la realtà in una tela tutta da riscrivere. No, non parliamo di pittori o sceneggiatori di Hollywood, ma di un’altra categoria di creativi: i leader trasformisti. Quegli abili illusionisti che riescono a scambiare il bianco con il nero, a ribaltare il tavolo del buon senso e a convincere chiunque che il lupo era, in realtà, un povero agnellino frainteso.

La riscrittura della storia in tempo reale

La storia, si sa, è scritta dai vincitori. Ma nel XXI secolo, grazie a un’abile gestione della comunicazione e a un esercito di megafoni mediatici, non serve nemmeno aspettare la fine della guerra per decretare chi aveva ragione. Bastano poche settimane, qualche dichiarazione altisonante, e il gioco è fatto: chi invade diventa difensore, chi resiste diventa oppressore, chi bombarda lo fa per la pace, e chi viene bombardato se l’è cercata. Il tutto condito da lunghi monologhi sulla libertà e i diritti, rigorosamente declamati da chi li calpesta con più entusiasmo.

Il pubblico, questo credulone seriale

Ma il vero capolavoro del leader trasformista non è solo cambiare la narrazione, ma far sì che il pubblico lo accetti senza fiatare. Anzi, con entusiasmo. L’abilità sta nel creare un racconto tanto assurdo quanto affascinante, in cui la verità diventa un concetto secondario rispetto all’emozione. E così, il nemico diventa amico, l’oppresso si trasforma in carnefice, e la guerra diventa un’operazione speciale di amore fraterno. Se ben orchestrato, il pubblico finisce per convincersi che l’oscurità sia solo una sfumatura di luce e che il gatto, in fondo, non avesse davvero intenzione di mangiare il topo, ma lo stava solo proteggendo.

Quando le parole valgono più dei fatti

Il leader trasformista sa che la realtà conta meno della percezione. I fatti? Roba antiquata, roba da sognatori ostinati. Quello che conta è ripetere, ripetere e ancora ripetere, fino a quando il dubbio si scioglie nella certezza costruita su misura. Non importa se un giorno si dice una cosa e il giorno dopo il suo contrario: basta avere la giusta intonazione e un pubblico disposto a chiudere un occhio (o due).

Il ciclo infinito della reinvenzione

La bellezza del trasformismo politico è che non ha scadenza. Chi oggi è eroe domani sarà tiranno, e chi oggi è tiranno potrà sempre riscattarsi con una mossa ben calcolata. Un nuovo nemico da inventare, un nuovo pericolo da sventare, e la giostra riparte. Del resto, la memoria collettiva ha la durata di una storia su Instagram: ventiquattro ore e tutto si azzera. Qualcuno ancora si ricorda chi erano i buoni e chi i cattivi la settimana scorsa? No? Perfetto, si ricomincia!

La vera vittoria del trasformismo

Alla fine, il vero successo del leader trasformista non è solo quello di riscrivere la realtà, ma di fare in modo che tutti la difendano con fervore, anche contro ogni evidenza. La logica? Superata. La coerenza? Inutile. Quello che conta è vincere la battaglia della percezione. E a giudicare da come va il mondo, sembra che ci riescano alla grande.


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09 Marzo 2025
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