La morte di una figura come Papa Francesco rappresenta un momento di riflessione, spiritualità e, per molti, di sincero dolore. Leader politici, capi religiosi e milioni di fedeli in tutto il mondo si sono uniti nel ricordo e nel cordoglio. Ma in questa coralità di emozioni, si è alzata una voce fuori dal coro, dissonante e sconcertante, quella della deputata americana Marjorie Taylor Greene, nota per le sue posizioni estreme e le sue teorie complottiste.
Il post che ha scatenato la tempesta
In un momento in cui molti cercano parole di conforto, la rappresentante trumpiana ha scelto un altro registro. Scrivendo sul social X a seguito della notizia della morte del pontefice, ha parlato di “grandi cambiamenti nella leadership globale” e ha concluso con una frase che ha fatto rabbrividire molti: “Il male viene sconfitto per mano di Dio”. Per i suoi detrattori, un chiaro riferimento a Papa Francesco, trasformando così un evento doloroso in un attacco ideologico di rara insensibilità.
Una reazione di condanna quasi unanime
Non sono mancate le reazioni, e sono arrivate a centinaia. Commentatori di ogni orientamento politico, credenti e non, hanno espresso indignazione. C’è chi le ha scritto “sei una disgrazia per l’America”, chi ha parlato di “odio nel cuore”, chi si è chiesto come una cristiana possa rallegrarsi per la morte di un uomo che ha dedicato la vita al dialogo e alla pace. Le parole più frequenti sono state “vergogna”, “odio”, “disumanità”.
Cristianesimo, tra parole e testimonianza
Taylor Greene si definisce cristiana, e ha più volte fatto riferimento alla fede nei suoi post pubblici. Solo poche ore prima del suo commento sulla morte del pontefice, aveva pubblicato un’immagine sacra accompagnata dal messaggio “Lui è risorto e siamo tutti perdonati”. Ma come hanno sottolineato molti suoi follower, le parole non bastano. La testimonianza cristiana si misura nei gesti, nella compassione, nel rispetto della vita, anche e soprattutto in momenti difficili.
Quando l’odio diventa spettacolo
Ciò che colpisce, in questa vicenda, è il tentativo di politicizzare la morte. Un evento che dovrebbe unire nel rispetto e nella riflessione viene trasformato in un’occasione per colpire un nemico ideologico. E in questo, la dinamica social amplifica tutto: il post, i commenti indignati, le risposte al vetriolo. Il dolore, che un tempo era silenzioso e condiviso, oggi viene messo in piazza e piegato alla logica del consenso e del confronto estremo.
La vera domanda resta aperta
Non è solo una questione politica o religiosa. È una questione umana. Cosa dice di noi una società in cui si può festeggiare pubblicamente la morte di qualcuno? Che idea di dialogo, di rispetto, di convivenza possiamo costruire se a parlare non è più la compassione, ma la vendetta? In un tempo che sembra avere dimenticato il senso del limite, forse il vero scandalo non è il post in sé, ma il fatto che qualcuno, leggendo quelle parole, abbia annuito.
22 Aprile 2025
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