La Corte costituzionale ha messo un punto fermo in una delle questioni più complesse del diritto di famiglia contemporaneo: è illegittimo impedire alla madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita (Pma) effettuata legalmente all’estero. Una pronuncia che non solo ha conseguenze concrete su migliaia di famiglie omogenitoriali, ma che apre anche una riflessione più ampia sui diritti dei minori e sul ruolo della volontà genitoriale.
La centralità dell’interesse del minore e i limiti dell’attuale normativa
La Corte ha sottolineato che negare lo stato di figlio anche alla madre intenzionale costituisce una violazione degli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, in quanto lede il diritto del minore a una identità giuridica stabile, alla parità di trattamento rispetto ad altri bambini e al riconoscimento della genitorialità in capo a entrambe le figure che hanno concorso alla sua nascita e crescita. In particolare, l’impossibilità di attribuire la maternità a chi ha condiviso consapevolmente la scelta di avere un figlio e di crescerlo insieme rappresenta una distorsione giuridica priva di fondamento costituzionale.
Il caso simbolo di Lucca e il vuoto normativo denunciato dai giudici
Tutto nasce da un caso avvenuto a Lucca, dove una coppia di donne, Glenda e Isabella, mamme di due bambini, si è vista riconoscere legalmente solo uno dei due figli. Il secondo, nato dopo una circolare del Ministero dell’Interno, non ha potuto ottenere l’iscrizione con doppia maternità all’anagrafe. Il tribunale di Lucca, nel rilevare l’assenza di una normativa chiara e la disomogeneità dei comportamenti adottati dai sindaci in casi simili, ha deciso di sollevare la questione davanti alla Consulta.
Le parole delle mamme e le difficoltà quotidiane
“Abbiamo avuto paura”, ha raccontato Isabella, madre intenzionale, preoccupata non solo per la mancanza di riconoscimento legale da parte del personale sanitario o scolastico, ma anche per le possibili conseguenze ereditarie e familiari nel caso di eventi imprevisti. “Anche prendere nostro figlio da scuola sarebbe potuto diventare un problema”. Una testimonianza che rende tangibile quanto l’assenza di diritti equivalga, nella quotidianità, a una continua incertezza.
Il ruolo della Corte Costituzionale e l’invito al legislatore
La Corte, nel dichiarare incostituzionale il divieto di riconoscimento alla madre intenzionale, non ha modificato i criteri di accesso alla Pma in Italia, ma ha riaffermato il principio secondo cui l’interesse del minore deve prevalere. E ha ribadito che nulla impedisce al legislatore di estendere l’accesso alla Pma anche a famiglie monoparentali o omogenitoriali, in linea con l’evoluzione del contesto sociale. Resta il fatto che, nonostante i ripetuti moniti della Consulta (già dal 2021), il Parlamento non è intervenuto con una riforma legislativa organica.
Una giurisprudenza disomogenea e la necessità di un cambiamento
Come rilevato dal tribunale di Lucca, le decisioni in casi analoghi sono spesso discordanti. Alcuni sindaci riconoscono la maternità intenzionale, altri no. Anche la giurisprudenza oscilla tra aperture e chiusure. Questa mancanza di uniformità produce disuguaglianze di trattamento e rende ancora più urgente un intervento legislativo che definisca in modo certo chi è genitore nel caso di procreazione medicalmente assistita tra coppie dello stesso sesso.
Una sentenza che guarda al futuro e ai diritti fondamentali
Il significato profondo della pronuncia non è solo giuridico. È un riconoscimento del fatto che l’identità familiare non può più essere legata esclusivamente ai parametri biologici o ai modelli tradizionali. È l’impegno condiviso e consapevole a voler crescere un figlio a costituire il fondamento della responsabilità genitoriale. E la Costituzione, come ha ricordato la Corte, deve garantire che i diritti dei bambini siano tutelati sempre, senza discriminazioni.
22 Maggio 2025
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