Mentre le diplomazie invocano la pace, la realtà dei fatti racconta un’Alleanza Atlantica in piena mobilitazione. Cresce la convinzione che non bastino più le parole: servono investimenti concreti, strutturati e misurabili nella difesa. Non è solo per compiacere Donald Trump, ma per garantire – almeno nelle intenzioni – una maggiore sicurezza al continente europeo. La retorica bellica sembra sempre meno distante dalla quotidianità politica della Nato.
Liste della spesa e nuovi impegni economici
I ministri della Difesa dei Paesi membri sono pronti a firmare i cosiddetti "target di capacità", vere e proprie liste della spesa che quantificano in modo dettagliato ciò che ogni alleato dovrà mettere sul piatto. E non si tratta di semplici promesse, ma di piani con scadenze precise, da rendere verificabili passo dopo passo. Gli Stati Uniti spingono affinché la soglia di investimento in difesa salga fino al 5% del Pil, ben oltre il tanto discusso 2% stabilito anni fa. Il summit dell’Aja si avvicina e sarà il banco di prova per capire chi sarà davvero disposto a fare questo salto.
La pressione degli Stati Uniti e il ruolo di Trump
L’ambasciatore Usa alla Nato, Matthew Whitaker, ha chiarito che Mosca “sta già preparando la sua prossima mossa”. Ecco perché – a suo dire – servono sforzi senza precedenti. Il segretario generale Mark Rutte intanto continua a lodare l’azione di Donald Trump, visto come il leader che ha rotto lo stallo sull’Ucraina e ha spinto gli alleati a fare di più. Ma l’apparente armonia è solo di facciata: sotto la superficie, le divergenze sono evidenti, tanto che si lavora per un vertice volutamente breve, per evitare imbarazzi e contrasti diplomatici.
Tensioni semantiche e il paradosso russo
Uno dei nodi più controversi riguarda il linguaggio da utilizzare nei confronti della Russia. Gli Stati Uniti preferirebbero evitare etichette dirette come “aggressore” o “principale minaccia”, temendo di compromettere eventuali aperture diplomatiche future. Una scelta che ha sollevato perplessità tra molti alleati: se Mosca non è una minaccia, perché allora stiamo spendendo miliardi per rafforzare i nostri eserciti? Il rischio è che questa ambiguità semantica alimenti confusione e diffidenza.
L’ombra dell’assenza e il cambio di strategia
Ha destato attenzione anche l’assenza del capo del Pentagono Pete Hegseth alla riunione del Gruppo di Contatto per l’Ucraina, fatto inedito per un segretario di Stato americano. Rutte ha cercato di ridimensionare l’accaduto, ma l’episodio si aggiunge ai segnali di una Nato che sta cambiando pelle. Al centro della nuova strategia c’è ora il sostegno diretto alla produzione bellica locale in Ucraina, considerata più sostenibile nel lungo termine. Un cambio di rotta che rafforza il legame tra Unione Europea, Nato e Kiev.
Adesione ucraina, tra certezze e smentite
Sul futuro ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza, le parole di Rutte sono ottimiste: “Il processo è irreversibile”. Ma Whitaker, ancora una volta, getta acqua sul fuoco: “Non è all’ordine del giorno”, ha detto chiaramente, facendo intendere che all’interno della Nato la questione è tutt’altro che condivisa. Tra aperture pubbliche e chiusure riservate, l’adesione ucraina sembra ancora lontana dal diventare realtà.
05 Giugno 2025
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