Quando si parla di violenza sessuale, ogni dettaglio ha un peso cruciale, ma uno su tutti si sta rivelando sempre più determinante: il tempo della reazione della vittima. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, il ritardo nella manifestazione del dissenso non è sufficiente a negare l’esistenza della violenza. Un’affermazione che non solo cambia la prospettiva giuridica di molti casi, ma impone un ripensamento culturale sul concetto di consenso e sulla comprensione del comportamento delle vittime.
Cassazione contro le sentenze precedenti, nuova udienza per l’ex sindacalista
La vicenda prende forma a partire da un ricorso presentato dal sostituto procuratore generale Angelo Renna, che ha portato la Cassazione a disporre un nuovo processo d’appello. L’imputato, un ex sindacalista 48enne in servizio presso l’aeroporto di Malpensa, era stato assolto sia in primo grado che in appello con la motivazione che la hostess coinvolta avrebbe potuto reagire nel breve tempo – appena trenta secondi – in cui si sarebbe svolta la condotta. Una lettura che però, secondo i giudici della terza sezione penale della Suprema Corte, non rispetta l’orientamento consolidato della giurisprudenza in materia.
Una reazione immediata non è un requisito per riconoscere la violenza
Nelle motivazioni della Cassazione, depositate a distanza di quattro mesi dalla decisione, si legge chiaramente che “l’insidiosità e la repentinità” dell’azione sessuale sono già elementi sufficienti per configurare il reato di violenza, a prescindere dalla durata del contatto o dalla reazione della vittima. Anzi, proprio l’improvvisa aggressione può mettere la persona in una condizione di tale disorientamento da renderla incapace di reagire. La donna, parte civile con l’avvocata Teresa Manenti, si era presentata nel 2018 presso l’ex sindacalista per motivi di lavoro, e secondo i giudici si trovava in una condizione di “completo spiazzamento”, come dimostra anche il fatto che non avesse mai posato la cartellina con i documenti.
Il freezing emotivo e l’assenza di un modello unico di reazione
La Cassazione fa riferimento anche alla letteratura scientifica per chiarire l’esistenza di fenomeni psicologici come il “freezing”, ovvero quel blocco emotivo che può impedire qualsiasi forma di reazione di fronte a un’aggressione improvvisa. Il punto è chiaro: non esiste un “modello di vittima” e pretendere una reazione immediata è non solo illogico, ma anche contrario alla realtà dei fatti documentata da studi e testimonianze. La mancata opposizione, quindi, non può in alcun modo essere considerata consenso, né può giustificare un’assoluzione.
L’obbligo del consenso, anche in caso di gesti improvvisi
La Suprema Corte sottolinea un principio chiave e ormai pacifico in giurisprudenza: chi compie atti sessuali ha il dovere di accertarsi che vi sia un consenso esplicito o almeno deducibile dal contesto. Questo vale anche nei casi in cui il gesto sia improvviso. Spetta sempre e comunque all’autore dell’atto verificare che non ci sia dissenso, o che non ci siano elementi che lo facciano presumere. L’assenza di dissenso attivo, dunque, non equivale ad un sì. E la giustificazione della “mancata percezione del dissenso” risulta per la Cassazione una deduzione erronea e fuorviante.
Nuovo processo, nuove regole e maggiore attenzione alla vittima
Il nuovo processo, che si celebrerà presso la Corte d’Appello di Milano, dovrà tenere conto di tutti questi elementi: dalla definizione giuridica di violenza come atto insidioso e repentino, alla legittimità del blocco emotivo, fino all’obbligo per l’autore dell’atto di verificare il consenso. La decisione della Cassazione rappresenta un punto fermo e un monito: non è la reazione della vittima a definire la violenza, ma il contesto, l’imprevedibilità e la volontà – o meno – di agire nel rispetto dell’altro.
19 Giugno 2025
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