La crisi mediorientale non accenna a fermarsi. Mentre la Striscia di Gaza è devastata e i civili lottano per cibo e cure, sempre più Stati scelgono di riconoscere lo Stato di Palestina. Canada, Australia e buona parte dell’Unione Europea hanno imboccato questa strada. Italia e Germania restano caute; gli Stati Uniti di Donald Trump mantengono un appoggio fermo a Israele. Nel frattempo, cresce nel mondo l’uso del termine “genocidio” per descrivere quanto accade.
Le origini della nuova escalation
Il secondo anniversario del 7 ottobre riporta alle radici dell’escalation. L’orrore di quel giorno suscitò un’onda emotiva globale e spinse il governo di Benjamin Netanyahu verso una risposta militare che ha innalzato i danni collaterali e prolungato il conflitto, lasciando in sospeso il destino degli ostaggi e dei civili.
Una guerra che non si può più chiamare tale
La sproporzione dei mezzi, il blocco di cibo e medicinali e la distruzione sistematica dei quartieri civili hanno trasformato il conflitto in catastrofe umanitaria. Le immagini di bambini denutriti evocano il Biafra o il ghetto di Varsavia. Gaza non appare più come un fronte militare, ma come un luogo di sterminio.
L’opinione pubblica si ribella
In Israele, una parte della società che all’inizio sosteneva la guerra per autodifesa mette ora in discussione la strategia. Il numero dei caduti, l’abbandono degli ostaggi e l’alta mortalità tra i civili hanno alimentato proteste quasi quotidiane, mentre cresce la consapevolezza del rischio di annessione della Cisgiordania e di espulsione dei palestinesi.
Isolamento internazionale e pressioni
Il prolungarsi dell’offensiva ha accresciuto l’isolamento di Israele. Si moltiplicano richieste di sanzioni, boicottaggi e blocchi all’export di armamenti. L’Europa — in passato prudente — spinge oggi per una soluzione diplomatica e per corridoi umanitari effettivi, mentre i cortei di sfollati continuano ad allungarsi ogni giorno.
Il riconoscimento e i suoi effetti concreti
Il riconoscimento della Palestina non è solo un simbolo. Apre relazioni diplomatiche, culturali ed economiche, e rende politicamente più difficile vendere armi a chi combatte contro uno Stato riconosciuto. È un atto che ridà dignità e identità a un popolo e rimette al centro il diritto internazionale, spesso vilipeso ma non per questo privo di forza.
Carestia e diritti, una linea rossa
La fame non è una fatalità, è una strategia. Difendere il diritto al cibo e all’assistenza significa difendere l’umanità. Ogni blocco ai rifornimenti essenziali colpisce per primi i più fragili e minaccia la stessa idea di legalità internazionale.
Diplomazia e morale, il peso delle scelte
Riconoscere la Palestina significa affermare che nessuna guerra può cancellare un’identità collettiva. È una decisione politica e insieme etica, un messaggio al mondo: le regole comuni contano, anche quando la forza prova a zittirle.
Tracce di luce nella notte
Non esistono soluzioni facili, ma ci sono segnali. La pressione della società civile, il lavoro di mediazione e la tutela dei civili possono diventare tracce di luce. Sta alla comunità internazionale trasformarle in un percorso credibile verso la pace.
05 Ottobre 2025
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