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La denuncia di Yulia Navalnaya, nuove prove sull’avvelenamento di Alexei Navalny

Il Cremlino nega ogni responsabilità, ma nuove prove alimentano i sospetti sulla morte di Alexei Navalny in carcere

La denuncia di Yulia Navalnaya, nuove prove sull’avvelenamento di Alexei Navalny

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Dall’avvelenamento del 2020 alla morte misteriosa nel 2024, il caso Navalny resta il simbolo della repressione russa

L’ombra della morte di Alexei Navalny continua ad allungarsi sulla scena politica russa. Secondo la moglie, Yulia Navalnaya, analisi indipendenti condotte su campioni biologici trafugati dalla Russia confermerebbero che il principale oppositore di Vladimir Putin sia stato ucciso tramite avvelenamento, mentre si trovava in una colonia penale artica nel febbraio 2024.

Un leader scomodo per il Cremlino

Navalny è stato per oltre un decennio il volto più visibile della resistenza interna al potere di Putin. Capace di portare in piazza decine di migliaia di cittadini, aveva costruito la sua immagine denunciando gli arricchimenti sospetti dell’élite vicina al presidente russo. Arrestato nel 2021 al rientro in patria, dopo un periodo di cure in Germania in seguito a un altro avvelenamento, stava scontando una condanna a 19 anni per accuse considerate da osservatori internazionali una chiara rappresaglia politica.

L’accusa della moglie

In un video diffuso sui social, Yulia Navalnaya ha dichiarato che due laboratori stranieri hanno accertato l’avvelenamento. “Alexei è stato assassinato, avvelenato in carcere”, ha affermato, senza specificare la sostanza individuata. Ha chiesto alle strutture scientifiche di pubblicare in autonomia i dettagli delle analisi. A sostegno delle sue parole, ha condiviso foto non verificate della cella, che mostrerebbero tracce di vomito, e ha riportato le testimonianze di agenti penitenziari che avrebbero visto Navalny in preda a convulsioni.

Un precedente inquietante

Non era la prima volta che il dissidente sopravviveva a un tentativo di avvelenamento. Già nel 2020, in Siberia, era stato colpito con un agente nervino della famiglia Novichok e trasferito d’urgenza in Germania. Da allora, la sua figura era diventata il simbolo dell’opposizione al Cremlino. Nemmeno la prigione aveva spento la sua voce: continuava a denunciare la guerra in Ucraina e la repressione interna, mantenendo viva l’attenzione internazionale.

Il rifiuto del Cremlino

Il governo russo ha respinto con forza ogni accusa, parlando di un malore improvviso avvenuto durante una passeggiata all’aperto il 16 febbraio 2024. Tuttavia, il comportamento delle autorità, che avevano trattenuto il corpo per giorni prima della sepoltura, ha alimentato i sospetti dei sostenitori.

Repressione senza tregua

Dopo la morte di Navalny, la stretta del Cremlino si è fatta ancora più dura. La stessa Yulia Navalnaya è stata etichettata come “terrorista ed estremista”, mentre avvocati, giornalisti e collaboratori vicini al leader sono stati incarcerati con pene severe. Molti hanno scelto l’esilio, ma la diaspora dell’opposizione appare divisa e faticosa da mantenere. Intanto, in Russia, la censura militare e i processi politici hanno ridotto al silenzio quasi ogni forma di dissenso, in un contesto segnato dalla guerra in Ucraina e da un controllo sempre più capillare.

Un simbolo oltre la morte

Per i suoi sostenitori, Navalny resta l’emblema di una Russia possibile, diversa da quella plasmata dal potere autoritario di Putin. Le accuse di Yulia Navalnaya riaprono una ferita ancora aperta e pongono una domanda inevitabile: quanta verità può sopravvivere in un Paese dove la voce del dissenso è ridotta al silenzio?


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17 Settembre 2025
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