La carità non si ferma davanti a un confine, non guarda il colore della pelle, né chiede documenti d’identità. Quando c’è bisogno, interviene. Sempre. Questo è il messaggio chiaro e potente che da anni guida l’attività dell’Elemosineria Apostolica, diretta da monsignor Konrad Krajewski, il “cardinale della strada” come qualcuno lo ha definito. Nessun preavviso, nessun limite di orario o festività: la carità, quella vera, si muove rapida dove il dolore è più forte e dove la solitudine pesa di più.
Dare senza chiedere, aiutare senza apparire
L’impronta data da Papa Francesco alla sua carità è inequivocabile. A Roma, sua diocesi, ogni povero è un volto da guardare e una storia da ascoltare. Non importa se si tratta di senzatetto italiani o di migranti appena arrivati: l’aiuto non fa distinzioni. Con una rete di volontari instancabili, l’Elemosineria compie piccoli miracoli quotidiani, spesso lontani dai riflettori, proprio come suggerisce il Vangelo: “non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”. È una solidarietà silenziosa, ma potente, capace di cambiare il destino di chi ha perso tutto.
Una presenza concreta dove serve, quando serve
Ci sono momenti, però, in cui anche la carità discreta finisce sotto i riflettori. Come quando l’Elemosineria si è fatta carico delle bollette della luce di un palazzo occupato a Roma, abitato da famiglie rifugiate. O quando, con il furgone vaticano targato Scv, ha raggiunto il centro Baobab per consegnare cibo e medicinali. Ogni intervento è una risposta immediata a una domanda di aiuto. Non un favore, ma un atto di giustizia sociale. Perché, come ricorda spesso Papa Francesco, "nessuno deve sentirsi dimenticato".
Il valore simbolico di una scatola di pasta
Uno degli esempi più recenti e significativi di questa carità operosa è la donazione di 200mila euro da parte del Papa per sostenere il pastificio all’interno del carcere minorile di Casal del Marmo. Un progetto che crea lavoro, speranza e dignità per i giovani detenuti. Lo ha raccontato con commozione monsignor Benoni Ambarus, per tutti “don Ben”, che ha ricevuto il dono direttamente dal Pontefice. Il Papa, pur dicendo di avere quasi finito i fondi, ha voluto contribuire: “Ho ancora qualcosa sul mio conto”. Un gesto semplice, ma carico di significato.
Essere visti, essere riconosciuti, essere amati
Non è solo questione di aiuti economici o di pacchi di viveri. È il riconoscimento della dignità di ogni essere umano. Papa Francesco, in visita al carcere di Rebibbia, aprendo la Porta Santa insieme a “don Ben”, ha voluto abbracciare simbolicamente tutti i detenuti, facendo sentire la sua vicinanza concreta. "Si sono sentiti visti", ha detto monsignor Ambarus. E oggi, dopo la sua morte, tanti detenuti chiedono di poter rendere omaggio a quel Papa che li ha considerati figli, non numeri. Una carità che lascia il segno nel cuore di chi la riceve.
La carità che non si ferma, nemmeno davanti alla morte
Anche dopo la scomparsa del Papa, il suo stile di carità continua a vivere nelle persone che lo hanno accompagnato, nei volontari che operano in silenzio e nelle strutture che accolgono, curano, danno una seconda possibilità. Don Ben sta cercando di portare alcuni di quei “figli prediletti” ai funerali, perché l’ultimo saluto sia anche un ringraziamento da parte di chi ha ricevuto amore senza condizioni. E chissà, magari anche sulla sua tomba ci sarà un fiore, donato da chi ha conosciuto il volto più autentico del Vangelo.
25 Aprile 2025
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