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Preoccupazione nel mondo arabo per l’escalation in Iran, cresce l’appello alla moderazione

Il mondo arabo tra diplomazia e allerta, timori per le basi americane e appelli alla moderazione dopo l’offensiva contro l’Iran.

Preoccupazione nel mondo arabo per l’escalation in Iran, cresce l’appello alla moderazione

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Qatar, Arabia Saudita, Iraq e Libano uniti nella condanna degli attacchi e nella richiesta urgente di un ritorno al dialogo diplomatico

L’azione militare degli Stati Uniti contro gli impianti nucleari iraniani ha scatenato reazioni forti da parte del mondo arabo. In prima linea l’Arabia Saudita, che ha recentemente riallacciato rapporti con l’Iran, e ora osserva con "grande preoccupazione" una situazione che potrebbe degenerare in un conflitto su larga scala. I Paesi del Golfo, molti dei quali ospitano truppe americane, temono di essere coinvolti direttamente in una guerra che rischia di investire tutta la regione. Dal 13 giugno, quando Israele ha avviato operazioni contro Teheran, la diplomazia araba ha intensificato gli sforzi per scongiurare una nuova conflagrazione.

La posizione del Qatar, tra alleanza strategica e prudenza

Il Qatar, che ospita la maggiore base militare americana in Medio Oriente e condivide con l’Iran uno dei giacimenti di gas più estesi del pianeta, ha lanciato un monito chiaro: l’attuale escalation può avere “conseguenze catastrofiche a livello regionale e globale”. Doha si muove in equilibrio tra il suo ruolo strategico e la necessità di preservare la stabilità energetica e politica. In questo contesto, la diplomazia si fa cruciale per evitare che il confronto militare sfugga di mano.

Gli alleati di Teheran, da Gaza allo Yemen, alzano la voce

Le reazioni dei gruppi filo-iraniani non si sono fatte attendere. I ribelli Houthi dello Yemen hanno parlato apertamente di “dichiarazione di guerra” e minacciato le navi americane nel Mar Rosso. Anche Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, ha definito l’intervento statunitense una “aggressione criminale”. Le parole del presidente Donald Trump, che ha descritto l’attacco come “una spettacolare impresa militare”, non hanno contribuito a rasserenare il clima. Anzi, hanno rafforzato la narrativa di una coalizione ostile all’Iran, galvanizzando le reazioni dei suoi alleati.

Gli appelli alla moderazione di Oman, Emirati e Bahrein

L’Oman, tradizionalmente attivo come ponte diplomatico tra Iran e Stati Uniti, ha chiesto una “immediata de-escalation”, posizione condivisa dagli Emirati Arabi Uniti. Il Bahrein, sede della Quinta Flotta americana, ha adottato misure precauzionali chiedendo ai dipendenti pubblici di lavorare da casa fino a nuovo ordine. Una scelta che riflette il timore di possibili ritorsioni o attacchi indiretti in risposta all’operazione americana.

Iraq e Kuwait, tra timori interni e strategie difensive

Il governo iracheno ha condannato l’azione americana, giudicandola un atto che “mette a repentaglio la stabilità del Medio Oriente” e temendo che le milizie filo-iraniane sul suo territorio possano reagire violentemente. Il Kuwait, da parte sua, ha attivato un piano di emergenza che prevede anche la predisposizione di rifugi, segnale tangibile dell’allerta in corso. L’intera area appare così sull’orlo di un nuovo periodo di instabilità.

Il Libano non vuole essere il prossimo teatro di guerra

Anche il Libano, già duramente colpito da recenti conflitti, ha espresso forte preoccupazione. Il presidente Joseph Aoun ha dichiarato che il Paese “non può sopportare il peso di un’altra guerra”, alludendo alle difficili condizioni economiche e sociali in cui versa. Una nuova escalation rappresenterebbe un colpo durissimo per una popolazione già provata da crisi profonde e prolungate.

L’Egitto rilancia il dialogo come unica via sostenibile

Infine, l’Egitto ha chiesto con forza il ritorno alla diplomazia, sottolineando il “rischio reale di caos” in caso di ulteriori azioni militari. Il governo del Cairo spinge per “soluzioni politiche e negoziati diplomatici” come unica via per contenere un’escalation potenzialmente fuori controllo. La voce dell’Egitto si aggiunge così a un coro crescente che chiede prudenza e compromesso.


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22 Giugno 2025
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