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Banana al muro e milioni di dollari, Cattelan ha fatto ridere anche la filosofia

Una banana al muro, milioni di dollari e la domanda, questa è arte o marketing?

Banana al muro e milioni di dollari, Cattelan ha fatto ridere anche la filosofia

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Cattelan e la provocazione, quando l’arte non emoziona più ma fa parlare.

Non si parla d’altro. O meglio, non si parlava d’altro un paio di mesi fa: la famosa banana di Maurizio Cattelan, l’opera d’arte (o oggetto di scherno globale?) che ha dominato la scena mediatica. Una banana, un po’ di nastro adesivo e la provocazione di Justin Sun, che ha speso 6,2 milioni di dollari per poi… mangiarla. Sì, avete capito bene. Un gesto che ha scatenato un’orgia di critiche, meme, vignette satiriche e dibattiti infiniti. Ma perché tutto questo clamore per un frutto?

La banana non è più solo un frutto

Partiamo dal nocciolo, o meglio dal torsolo della questione. Justin Sun non ha comprato la banana. Ha comprato il diritto di appiccicare altre banane al muro, seguendo scrupolosamente il manuale Cattelan. Insomma, 6 milioni di dollari per un “kit fai-da-te”. La provocazione, più che nel frutto, risiede nel concetto: Cattelan non vende banane, vende il suo nome. Se fosse stata una zucchina? O un pomodoro? Nulla sarebbe cambiato, se non il meme.

Eppure, c’è qualcosa di profondamente comico, quasi filosofico, in questa faccenda. La banana, destinata a marcire, rappresenta la precarietà della vita? È una critica all’arte stessa? O forse è solo una gigantesca risata alle spalle del pubblico? Alla fine, probabilmente tutto e niente. Ma nel dubbio, tutti ne parlano.

E’ arte o un frutto troppo caro?

La domanda che perseguita da settimane: questa è arte? I critici si sono sperticati in analisi complesse, ma il popolo del web ha tagliato corto: no, è una banana. Eppure, l’arte concettuale ci ha abituato a questi cortocircuiti. Ricordate Duchamp e la sua Fontana? La banana è figlia (ribelle e in ritardo) di quella provocazione, ma con un secolo di differenza. All’epoca, la Fontana faceva scandalo; oggi, ci strappa solo un sorriso stanco.

E qui sta il problema: l’arte concettuale non provoca più. Si limita a riproporre vecchi modelli, esasperandoli. Invece di creare nuovi linguaggi, si è cristallizzata in un manierismo sterile. Cattelan ci dice: "Restano solo le idee". Ma guardando la sua banana, la sensazione è che non sia rimasto nemmeno quello.

L’arte che ha smesso di emozionare

Cos’ha perso l’arte moderna? La capacità di raccontare storie. Un quadro di Giotto, una scultura di Canova, un dipinto di Picasso emozionano, trasportano. La banana appesa al muro? Fa discutere, ma non emoziona. Forse l’obiettivo è proprio quello: far parlare di sé. Ma a che prezzo? Letteralmente e figurativamente.

L’arte non dovrebbe ridursi a uno slogan o a una provocazione vuota. Esiste già una disciplina dedicata alle idee pure: si chiama filosofia. Ma anche la filosofia, per quanto criptica, costruisce argomentazioni. L’arte concettuale, invece, si accontenta di suggerire concetti vaghi, lasciando il pubblico in balia di interpretazioni infinite.

Provocare, ma a che scopo?

La banana di Cattelan ha esaurito la provocazione che Duchamp aveva reso rivoluzionaria. Non stupisce più, non scuote, non apre nuovi orizzonti. È solo l’ennesima ripetizione di uno schema, una provocazione senza scopo. E allora ci chiediamo: a cosa serve?

Forse la risposta è più semplice di quanto sembri. Serve a ricordarci che l’arte, come il nastro adesivo, non tiene più insieme nulla.


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28 Gennaio 2025
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