Che il web faccia male al cervello umano lo si dice da tempo. Ma ora a soffrire di “rimbambimento digitale” sarebbero anche le intelligenze artificiali. Gli studiosi lo chiamano brain rot, un deterioramento cognitivo provocato dal consumo compulsivo di contenuti online di bassa qualità, tipici dei social network. E a quanto pare, nemmeno i modelli di intelligenza artificiale ne sono immuni.
Quando anche le macchine perdono lucidità
Un recente studio condotto dall’Università del Texas ad Austin e dalla Purdue University ha testato due noti modelli linguistici di grandi dimensioni, Llama (di Meta) e Qwen (della cinese Alibaba), scoprendo che anche le IA, se nutrite con troppi contenuti “spazzatura”, finiscono per perdere la capacità di ragionare con coerenza. In altre parole, più le macchine leggono testi banali o sensazionalistici, più diventano confuse, disordinate e, in certi casi, persino “psicotiche”.
La parola dell’anno secondo Oxford
Non è un caso che l’Oxford Dictionary abbia scelto proprio “brain rot” come parola del 2024. Un termine che riflette l’epoca in cui viviamo: quella dell’informazione veloce, frammentata e costruita per catturare attenzione più che per trasmettere contenuti di valore. Come afferma Junyuan Hong, professore all’Università Nazionale di Singapore e coautore della ricerca, “viviamo in un’epoca in cui le informazioni crescono più velocemente dell’attenzione e gran parte di esse è progettata per ottenere clic, non per trasmettere profondità”.
Un esperimento che fa riflettere
I ricercatori hanno “nutrito” i modelli di IA con testi contenenti frasi tipiche dei post acchiappa-click: “wow”, “guarda”, “solo oggi”. Il risultato? Una progressiva degradazione delle capacità di ragionamento, un indebolimento della memoria e un calo dell’allineamento etico dei modelli. In sintesi, le IA addestrate con contenuti virali hanno mostrato lo stesso tipo di confusione mentale che, a livello umano, potremmo definire “intossicazione informativa”.
Il paradosso dell’apprendimento digitale
L’esperimento evidenzia un rischio fondamentale per l’intero settore dell’intelligenza artificiale: la convinzione che i social media rappresentino una buona fonte di dati per l’addestramento. Come sottolinea Hong, “allenare le IA su contenuti virali o che attirano l’attenzione può sembrare un modo per ampliare i dati, ma in realtà può corrodere il ragionamento, l’etica e l’attenzione”. Un monito che dovrebbe far riflettere le aziende che sviluppano modelli linguistici: la quantità non sostituisce la qualità, nemmeno nel mondo digitale.
Quando il web “ammala” anche l’intelligenza
Il concetto di brain rot applicato alle macchine solleva una domanda più ampia: se persino un’intelligenza artificiale può perdere coerenza a causa dell’eccesso di contenuti spazzatura, cosa sta accadendo a noi esseri umani, costantemente immersi nello stesso mare di informazioni? Forse è arrivato il momento di riscoprire il valore del silenzio, della riflessione e dell’approfondimento, prima che la nostra mente — e quelle delle macchine — si perdano del tutto nel rumore del web.
26 Ottobre 2025
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