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Se la diplomazia diventa una scuola di bulli, cosa stiamo insegnando ai bambini

Un’analisi su come la politica globale sembri una scuola di bulli e sul messaggio devastante che trasmettiamo ai bambini

Se la diplomazia diventa una scuola di bulli, cosa stiamo insegnando ai bambini

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Cosa imparano i bambini da un mondo dove la forza conta più della pace e la diplomazia è solo una recita di potere?

Viviamo in un’epoca in cui la politica e la diplomazia, invece di essere luoghi di dialogo e rispetto, sembrano assomigliare sempre più a una competizione tra bulli. Chi urla di più, chi minaccia di più, chi mostra più forza sembra avere ragione. Ma mentre i potenti del mondo giocano a mostrare i muscoli, c’è qualcuno che osserva in silenzio: i bambini.
E la domanda è inevitabile: che cosa stanno imparando da noi?

Il ritorno dei bulli nella politica

Negli ultimi anni la scena internazionale è dominata da leader che scambiano l’autorità con l’aggressività. L’idea stessa di diplomazia, fatta di ascolto e compromesso, viene sostituita da un modello primitivo: chi è più forte impone, chi è più debole si adegua.
È un linguaggio che abbiamo già visto nei cortili delle scuole, quando un ragazzino intimidisce un altro solo per sentirsi grande. Eppure, incredibilmente, oggi questa dinamica appare anche nei vertici internazionali, nelle conferenze stampa, nei negoziati tra Stati.

Accordi che non cercano il giusto ma il conveniente

Molti accordi globali non nascono per difendere valori, diritti o equità. Nascono per convenienza.
Proteggere rotte commerciali, difendere interessi energetici, mantenere alleanze strategiche. La giustizia non è più un criterio, diventa un ostacolo.
La pace, quella vera, richiederebbe ascolto, riconoscimento dei torti, ricerca di soluzioni condivise. Ma ciò richiede maturità, responsabilità, impegno.
E spesso chi governa preferisce scorciatoie: una firma rapida, un tavolo ristretto, un accordo imposto. Tanto, a pagarne il prezzo, saranno sempre gli altri.

Israeliani e palestinesi, bambini che crescono senza pace

Il conflitto tra Israele e Palestina è uno degli esempi più dolorosi di questa crudeltà diplomatica.
Da decenni si parla di una “pace duratura”, ma i negoziati vengono dominati da potenze che non vivono la realtà dei checkpoint, dei bombardamenti, delle privazioni.
E mentre i leader discutono, due generazioni di bambini – israeliani e palestinesi – sono cresciute vedendo solo muri, sirene, diffidenza.
Che cosa stanno imparando?
Che il mondo degli adulti non è in grado di difenderli.
Che la pace è una promessa che non arriva mai.

Russia e Ucraina, una guerra osservata dai figli di entrambi

Anche nel conflitto tra Russia e Ucraina si assiste allo stesso fenomeno.
Le sorti di milioni di persone vengono discusse da Stati terzi, interessati più agli equilibri globali che al destino delle famiglie ucraine sotto i bombardamenti o dei ragazzi russi mandati al fronte contro la loro volontà.
E in questo scenario, i bambini – da entrambe le parti – imparano una lezione atroce:
se sei piccolo, il mondo non ti vede.
La loro infanzia diventa merce di scambio nei giochi di potere, l’ennesima pedina sacrificabile in un tavolo negoziale che privilegia confini e alleanze, non la vita umana.

La serietà della politica è evaporata

Una domanda sorge spontanea: che fine ha fatto la serietà?
La serietà nel difendere i deboli, nel riconoscere gli errori, nel mediare con onestà.
La politica sembra aver smarrito il senso del limite. È diventata performance, provocazione, scontro permanente.
E così anche la verità diventa negoziabile: non conta ciò che è giusto, ma ciò che appare conveniente.
I bambini che osservano tutto questo imparano che non esiste un confine chiaro tra vero e falso, tra responsabilità e arroganza.

Conclusione, i bambini non imparano da ciò che diciamo ma da ciò che facciamo

I bambini guardano, ascoltano, assorbono.
Non imparano dai discorsi ufficiali, imparano dai comportamenti.
E se il mondo degli adulti mostra che chi urla vince, che chi minaccia ottiene, che chi invade decide, allora stiamo consegnando loro un futuro fatto della stessa violenza che oggi fingiamo di condannare.
La pace non può essere un esercizio di propaganda.
La diplomazia non può essere una scuola di bulli.
Perché il mondo che stiamo costruendo non è solo nostro: è soprattutto il loro.
E il minimo che possiamo fare è non tradirli.


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21 Novembre 2025
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