Commercio al dettaglio e nuove sfide tra negozi sfitti, desertificazione urbana e trasformazioni digitali.
Negli ultimi anni le strade delle città italiane stanno cambiando volto. Saracinesche abbassate, insegne spente, interi isolati che una volta brulicavano di vita commerciale oggi appaiono svuotati. Un fenomeno che non riguarda solo i grandi centri urbani ma anche i piccoli comuni, dove la chiusura di un negozio pesa come una perdita collettiva. Un recente studio di Confcommercio mette in fila numeri e tendenze che descrivono un Paese alle prese con una trasformazione profonda e non priva di rischi.
Una contrazione che dura da oltre dieci anni
Nel giro di dodici anni in Italia sono scomparse più di 140mila attività commerciali tra negozi tradizionali e ambulanti. A preoccupare non è solo l’ampiezza delle chiusure ma la loro distribuzione: spariscono soprattutto le attività nei centri storici e nei piccoli comuni, proprio quelle che contribuiscono maggiormente all’identità urbana e alla socialità quotidiana. E senza interventi mirati, avverte la ricerca, entro il 2035 potremmo perdere altre 114mila imprese al dettaglio, un negozio su cinque.
Una fotografia del commercio italiano oggi
Nel 2024 il commercio al dettaglio conta oltre 534mila imprese, con una prevalenza di attività in sede fissa (circa 434mila). Meno numeroso ma ancora rilevante è il commercio ambulante, che sfiora le 71mila attività. Cresce invece un terzo polo: quello del commercio alternativo, ovvero e-commerce e vendita per corrispondenza, oggi a quota 30mila imprese.
Il confronto con il 2012 è impietoso: quasi 118mila negozi tradizionali e oltre 23mila attività ambulanti hanno cessato l’attività, mentre il commercio sul web è esploso registrando un aumento del 114%. Una crescita che racconta il cambiamento delle abitudini di consumo e la difficoltà per molti piccoli operatori di tenere il passo con il digitale.
I settori più colpiti dalla crisi
Alcuni comparti soffrono più di altri. Tra i più colpiti troviamo i distributori di carburante (-42,2%), seguiti dagli esercizi dedicati ad articoli culturali e ricreativi (-34,5%). Forte contrazione anche per il commercio non specializzato e per negozi di mobili, ferramenta, abbigliamento e calzature. In molti casi la concorrenza online, l’aumento dei costi energetici e una domanda sempre più segmentata hanno accelerato la selezione.
Ristorazione e ricettività, un quadro diverso
Il mondo della ristorazione segue una traiettoria opposta. Nel 2024 si contano quasi 337mila attività legate ad alloggio e somministrazione: il comparto cresce del 5,8% rispetto al 2012, con un balzo del 17,1% per la ristorazione. A diminuire sono invece gli alberghi tradizionali (-9,5%), mentre esplodono forme ricettive più flessibili come B&B, affittacamere e case vacanza, aumentate del 92,1% in dodici anni. Una trasformazione che riflette nuovi modi di viaggiare e vivere l’esperienza turistica.
Il rischio città fantasma
Davanti a questa fotografia, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, parla senza giri di parole: l’Italia rischia di ritrovarsi con “vere e proprie città fantasma”. Ogni negozio che chiude significa meno sicurezza, meno servizi, meno socialità. Una perdita che va oltre l’economia e tocca la dimensione umana delle comunità.
Per invertire la rotta servono politiche fiscali più eque, accesso al credito più semplice, sostegno alla transizione economica e soprattutto la riqualificazione degli oltre 105mila negozi sfitti, molti dei quali inutilizzati da più di un anno.
Un progetto per rigenerare le città
Tra le iniziative proposte, il progetto Cities di Confcommercio punta a frenare la desertificazione commerciale con interventi di rigenerazione urbana: riuso degli spazi inutilizzati, valorizzazione del commercio di prossimità, pianificazione condivisa tra istituzioni e territori. Un approccio che mette al centro la qualità della vita dei residenti e un’offerta più attrattiva anche per i turisti.
15 Novembre 2025
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