Quando parliamo di sfruttamento lavorativo pensiamo spesso a qualcosa di lontano, relegato a zone remote del mondo. E invece, dietro le nostre campagne e dietro il prezzo bassissimo di alcuni prodotti agricoli, esistono storie che tolgono il fiato. Storie di uomini trattati come strumenti, pagati pochi spiccioli e costretti a vivere in condizioni indegne. Quanto accaduto nella provincia di Catania non è solo cronaca, ma la fotografia di una realtà che continua a ripetersi nell’indifferenza generale.
Una rete di sfruttamento organizzata
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la polizia di Catania e il commissariato di Caltagirone hanno messo fine a un sistema di reclutamento e sfruttamento ai danni di lavoratori stranieri. Tre uomini – un 54enne, un 52enne e un 56enne – sono finiti in carcere con accuse pesantissime: tratta di esseri umani, intermediazione illecita, sfruttamento lavorativo e persino atti di crudeltà verso animali. Le prime segnalazioni sono arrivate dalle associazioni anti–tratta, che da tempo monitoravano situazioni sospette nelle campagne etnee.
Il viaggio della speranza trasformato in incubo
La vicenda è emersa grazie alla testimonianza di un lavoratore marocchino. L’uomo, vulnerabile e in difficoltà economiche, era stato convinto dal 52enne a lasciare la Francia per raggiungere Ramacca, nel Catanese. Qui sarebbe stato “aiutato” a trovare un impiego presso la fattoria del 54enne. Un’opportunità solo in apparenza, che si è rivelata invece una trappola senza via d’uscita.
Turni massacranti per poco più di un euro l’ora
Le condizioni imposte al lavoratore parlano da sole. Quattordici ore di lavoro al giorno per un compenso iniziale di 550 euro mensili, pari a 1,26 euro l’ora. Una cifra che da sola basterebbe a spiegare la gravità della situazione. Gli importi sono poi saliti a 650 euro (1,49 euro l’ora) e infine a 800 euro (1,84 euro l’ora), restando comunque ben al di sotto di qualsiasi parametro dignitoso. Il risultato? Uno sfruttamento sistematico, in cui la disperazione del lavoratore veniva usata come arma.
Condizioni igieniche da incubo
Il quadro investigativo descrive ambienti al limite della sopravvivenza. Il lavoratore viveva in uno stabile fatiscente, accanto al deposito di mangimi, illuminato solo da un cavo di fortuna appeso “al volo”. niente riscaldamento, niente servizi igienici, niente assistenza. Attorno, parassiti e topi. Una situazione inaccettabile anche solo da immaginare, eppure reale. A peggiorare il tutto, episodi da brividi: di fronte a un ascesso al collo, l’uomo non è stato portato in una struttura sanitaria. Il 54enne ha pensato bene di “intervenire” da solo, praticando un foro con un ago.
Minacce, violenza e crudeltà sugli animali
Il 56enne aveva il compito di controllare i lavoratori e impedire che scappassero, mentre tutti e tre sono accusati di aver sfruttato più di tre persone, una circostanza che aggrava ulteriormente il quadro. Ma il particolare più agghiacciante riguarda il 54enne, a cui viene contestato anche l’uso della violenza come forma di intimidazione. Per terrorizzare il lavoratore, avrebbe fatto assistere all’uccisione di alcuni cani con un’arma da fuoco. In un episodio ancora più brutale, avrebbe trascinato un cane ferito legandolo a un’auto, provocandone la morte. Atti che non solo mostrano una crudeltà estrema, ma anche la volontà di instaurare un clima di paura assoluta.
Una ferita aperta per il lavoro agricolo
Storie come questa ci obbligano a guardare la realtà senza filtri. Il lavoro agricolo, fondamentale per il Paese, continua purtroppo a essere terreno fertile per sfruttamenti di ogni tipo. Qui, nelle campagne di Catania, la disperazione di alcuni è diventata il profitto di altri. Un sistema che non può essere normalizzato. Non può essere ignorato. E non può essere dimenticato. Le indagini andranno avanti, ma intanto resta una domanda che pesa: come è possibile che nel 2025 qualcuno venga trattato come uno schiavo in un Paese che si definisce civile?
17 Novembre 2025
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